martedì 11 novembre 2014

LITTLE SECRET ~ cap. 2 (racconto)

RIASSUNTO: Sara ha un segreto inconfessabile ed un dubbio che si porta dietro da anni, cioè da quando una notte, dopo la morte della madre, ha visto suo padre aggredire ed uccidere una persona davanti ai suoi occhi. Non potendo essere sicura al 100% di quello che ha visto a causa della scarsa visibilità, ogni volta che sente il padre uscire di casa nel cuore della notte, si veste di tutto punto e lo segue, ma puntualmente torna a casa con un pugno di mosche ed un nulla di fatto almeno fino adesso. Mentre studia per un esame a scuola, sente il padre uscire come di suo solito, lo pedina e ne perde le tracce nei pressi di una casa in costruzione, decide di entrare nel cantiere, ma non è sola, qualcosa o qualcuno la sta seguendo e, spaventata, si nasconde in un armadio a muro....



CAPITOLO 2:



 “So che ci sei” disse una voce all’interno della stanza. Era una voce calda e stranamente rauca, ma non spaventosa come si sarebbe aspettata, “sento l’odore del tuo balsamo per capelli” fece una pausa e Sara poté sentire che stava respirando a pieni polmoni l’aria nella stanza. “Cocco, vero?” rise.
Lei iniziò a tremare. Gli occhi pieni di lacrime.
“Perché rendere tutto così difficile? Alla fine ti ci sei infilata da sola in questo guaio, no?” continuò la voce divertita. “Avresti dovuto dar retta a papino e startene buona a casa, a quest’ora le brave bambine sono già a letto da un pezzo, non lo sai?” sbraitò ed il suono della sua voce echeggiò in tutta la stanza. Sara si porto le mani alle orecchie, non voleva sentire, continuava a ripetersi che era tutto un brutto sogno, che presto si sarebbe svegliata nel suo letto sommersa dai libri di algebra e geometria e con mister Booh che la osservava dalla mensola. Si, doveva essere un sogno. Un sogno dove lei stava per morire però.
Chiuse gli occhi lasciando che le lacrime le rigassero il viso, “mi spiace papà, se solo mi fossi fidata di te” pensò amaramente, “se solo…”. Nascose il viso tra le ginocchia tremanti. Oramai non poteva neanche più chiedergli perdono, non avrebbe fatto più in tempo. Pianse al pensiero che sarebbe stato completamente solo da quel momento in poi, che se anche lei fosse morta, lui non avrebbe avuto più nessun parente, più una famiglia in cui credere, una famiglia d’amare.
“Mi spiace, papà” mormorò in un singhiozzo. La porta dell’armadio a muro si aprì di scatto facendola sobbalzare. “Non toccarmi, maledetto! No!!” urlò rannicchiandosi in un angolo terrorizzata.
“Sara, tesoro, sono io, papà”. Al suono della voce del padre, smise di agitarsi, ma rimase a fissarlo incredula. Il viso bianco come l’avorio, le lacrime fredde che brillavano come rugiada sotto i raggi di una pallida luna appena spuntata da dietro alcune nubi. “Papà?” mormorò incredula.
Lui annuì sorridente, la prese per un braccio e la trascinò fuori dal suo nascondiglio. Sorrise accarezzandole il viso con entrambe le mani per asciugarlo, poi la baciò dolcemente la fronte come quando era piccola e la avvolse in un caldo abbraccio. Lei si lasciò coccolare, non disse nulla, era frastornata da tanta emozione. Ora che l’adrenalina stava ritornando nella norma, si sentì le gambe morbide come burro, stava per perdere i sensi e si abbandonò tra le braccia del padre in cerca di sostegno. Lui la sorresse con forza, poi con uno scatto degno del miglior principe delle fiabe, la sollevò da terra prendendola in braccio e si avviò verso l’uscita.
Un tiepido sole mattutino, filtrato da una fessura della persiana, inondò il viso addormentato di Sara che si voltò mugugnando sull’altro fianco in modo da non incrociare quel fastidioso fascio di luce. Mister Booh, era come sempre posizionato sulla mensola di fronte al letto in attesa di coccole. Un braccio emerse da sotto la leggera trapunta in cerca della sveglia.  Aveva gli occhi pesanti di sonno ed a stento riuscì a scorgere le lancette della sveglia che segnavano le 07:00 del mattino. Fissò per alcuni istanti il quadro, immobile, lo sguardo spento, poi realizzò: “oh, porca! Sono in ritardo e stamattina ho pure il compito” scattò in piedi afferrò i primi indumenti dall’armadio e corse in bagno a docciarsi.
Scese a due a due i gradini della scalinata interna della casa che porta verso le stanze, nella cucina, come tutte le mattine, il padre l’aspettava seduto comodamente al tavolo, sorseggiando un caffè e sfogliando il giornale.
“Ciao papà io vado!” annunciò di corsa, baciandogli la guancia ed afferrando al volo una fetta di pane tostato. Uscì di corsa, l’autobus era già passato e fu costretta a correre fino alla scuola che distava  circa 3-4 chilometri da casa.
Arrivò in classe col fiato corto, giusto in tempo per il suono della campanella.
“Salva” mormorò lasciandosi cadere di testa sul banco sfinita.
“Per un pelo, eh?” sorrise la sua compagna di banco facendole l’occhiolino. “Non dirmi che non hai sentito la sveglia” continuò.
“Proprio così” bisbigliò lei in risposta. “Cioè, la sveglia l’ho sentita, ma dopo che stava suonando da un bel po’” continuò Sara con un sorriso.
“Cavolo! Ieri dovevi essere proprio stanca per addormentati a quel modo proprio alla vigilia di una prova scritta, come t’invidio, io non ho chiuso occhio dalla tensione” replicò l’amica.
“Scherzi io ieri…” si bloccò. Cosa aveva fatto ieri sera? Non riusciva a ricordare. Com’era possibile? Ricordava che per cena aveva ordinato una pizza, poi dopo aver visto un po’ di tv con suo padre, era andata in camera a studiare. Ricordava di essere molto tesa, di aver parlato con suo padre e poi? Cos’aveva fatto dopo che si era separata da suo padre? Niente! Il nulla!
“Sara? Sara!!” chiamò l’amica vedendo l’improvviso pallore nel volto della compagna. “Che hai?” chiese.
“Io non lo so. Ho come un vuoto. Ti capita mai di non ricordare cos’hai fatto il giorno prima?” mormorò confusa.
“Intendi prima di una prova scritta? Scherzi? Io sono così tesa che manco ricordo come mi chiamo prima di una prova scritta” rise. Sara la fissò alcuni istanti, un sorriso amaro e forzato dipinto sul volto teso. No, non era da lei! C’era qualcosa che doveva ricordare, qualcosa che dentro di lei, gridava e spingeva per emergere, qualcosa che forse, non avrebbe dovuto ricordare. Improvvisamente sentì la nausea salirle dal fondo della gola, si portò le mani alla bocca e corse in bagno sotto lo sguardo sgomento dei suoi compagni di classe.
“Sara! Tutto bene? Sara!!!” chiamò l’amica che le era corsa dietro spaventata. Posò la mano alla porta del bagno, non era chiusa a chiave, la spinse: “Sara, sto entrando” avvisò aprendola lentamente. La ragazza era di ginocchia per terra, il viso pallido, ansimante, gli occhi arrossati e pieni di lacrime.
“Sara!” accorse mettendole le mani sulle spalle.
“Karin, c’è qualcosa che non va in me” mormorò a stento.
“E’ evidente direi” sbuffò l’altra, “vieni, ti porto in infermeria” concluse aiutandola ad alzarsi. La ragazza si fece trasportare passivamente dall’amica fino all’infermeria della scuola. Bussò alla porta ed una voce da uomo la invitò ad entrare.
“Professor Craulad, Sara sta male!” annunciò Karin visibilmente preoccupata. L’uomo aprì la porta di scatto, lo sguardo gelido posato sulle due giovani. Con dolcezza spostò Karin dalla porta, afferrò Sara e la fece sedere su una branda all’interno dell’infermeria, poi voltandosi sentenziò: “Non occorre che tu resti qui. Ci penso io alla tua amica, torna in classe”. Karin abbozzò un inchino di ringraziamento e lasciò la stanza.

“Allora, signorina…” prese a dire l’uomo sulla quarantina con dei folti capelli corvini sopra  degli occhi color verde acqua nascosti da dietro un paio d’occhiali da vista.
“Saiklis, Sara Saiklis” mormorò lei imbarazzata. Quell’uomo di bell’aspetto e dallo sguardo così penetrante non le era mai piaciuto. La metteva in soggezione ed ogni volta finiva col balbettare.
“Bene, signorina Saiklis” convenne con un sorriso, mentre i suoi occhi rimasero di ghiaccio, “cosa le è successo?” chiese sedendosi alla scrivania.
“Ho vomitato” mormorò la giovane spostando lo sguardo ed arrossendo.
“Capisco e poi?” rispose lui distrattamente, mentre compilava la scheda tecnica per il passaggio in infermeria. Lei rimase in silenzio. Non sapeva bene cosa dire, se era il caso di parlare del perché di quel suo improvviso malessere. Rimase in silenzio esitante…lo sguardo basso, le mani posate saldamente sulle ginocchia. Quell’uomo la metteva stranamente a disagio, ma non ne capiva il motivo.
“Allora?” esortò il professore, grattandosi la testa.
“Mi gira anche un po’ la testa, ma se mi sdraio sono sicura che starò subito meglio” rispose tutto d’un fiato. L’uomo la fissò per alcuni istanti, posò la penna sul tavolo e si alzò diretto verso la giovane che istintivamente s’irrigidì. Con una mano le sfiorò la fronte. Il contatto fu veloce e gelido. Chiuse gli occhi ed un brivido la percosse.
“Si, meglio che si sdrai, è pallida ed hai anche la febbre a quanto sembra” concluse lui, “le darò qualcosa per la nausea, riposi pure qui, torno subito” concluse uscendo dalla stanza con le mani nelle tasche del camice.
Sara si lasciò sprofondare nelle lenzuola che profumavano di fresco. Sembrava che le avessero appena cambiate. Si portò una mano sulla fronte, “non mi sembra di avere la febbre”  pensò crucciata, “anzi era lui ad essere terribilmente freddo, sembrava la mano di un morto” mormorò ed il flash della scena di quel cadavere che vide quand’era bambina le balzò in testa facendole sobbalzare nel letto. Si portò le mani alla bocca, la gola era secca ed ansimava. “Mi viene di nuovo da vomitare ed ora?” si chiese cercando di scendere dal letto, ma le gambe non la ressero cadde a terra. “Papà” pensò sconfortata, “dove sei? Papà?” sussurrò ansimante. Non capiva cosa stesse succedendo al suo corpo. Quell’improvvise nausee, i vuoti di memoria… era tutto troppo strano.  
“Signorina Saiklis!” accorse il professore rientrando in infermeria, “che le succede?” chiese.
“Non lo so” mormorò, “voglio tornare a casa!”  
L’uomo la prese tra le braccia e la rimise a letto.
“Chiamo a casa sua e la faccio venire a prendere” disse rimboccandole le coperte.
“si” mormorò lei di risposta, “per favore” concluse perdendo conoscenza.
L’uomo la fissò per alcuni istanti, la pelle liscia e bianca, le ciglia lunghe, le labbra rosse come due ciliegie, sembrava uscita da un dipinto. Si avvicinò per annusarne affondo i capelli, ne prese una ciocca e la baciò, il suo profumo lo inebriava. Con un dito le sfiorò i lineamenti del visto: gli zigomi, il naso, poi scese giù a cercare le labbra su cui si soffermò alcuni istanti, poi scese ancora fino al mento ed infine si arrestò tra le due clavicole. Fissò allungo quel punto, come se ne fosse attratto. Si chinò lentamente su di lei, passando la lingua nei punto sul quale si era fermato. Il contatto della pelle calda che contrastava con l’umidità gelida della sua lingua gli diete piacere.
“Allontanati da lei” tuonò un uomo alle sue spalle.
Il professore sorrise compiaciuto: “Ti sei azzardato ad uscire nonostante siamo ancora in pieno giorno? Devi tenerci proprio a lei” mormorò continuando ad accarezzare il viso della giovane senza neanche voltarsi.
“Non farmelo ripetere, allontanati subito da lei ho detto!”.
“Karl, guardati!” sorrise il professore, “ti reggi a malapena in piedi, di giorno le persone come noi non dovrebbero andarsene in giro, lo sai” si voltò e si ritrovò le mani dell’uomo intorno al collo. Gli occhi rosso rubino scintillavano di determinazione, la presa salda, il viso contratto dallo sforzo, il fiato corto.
“Vuoi farlo qui, Karl? Vuoi uccidermi davanti a tua figlia?” rise l’altro incurante della stretta mortale di cui era vittima.
“Perché? Perché tu non stai male?” mormorò Karl. Mantenere la presa, gli costava uno sforzo sovrumano, era debole, troppo e se Craulad si fosse ribellato, con molta probabilità avrebbe avuto la peggio, ma qui c’era in ballo la vita della sua preziosa figlia, non poteva arrendersi. Strinse i denti e con essi la presa intorno al collo dell’altro uomo.
“Io ho i miei segreti e poi basta non entrare in diretto contatto con i raggi del sole, il giorno ci indebolisce, ma non ci uccide, almeno non uno della mia forza, io ho poteri maggiori, poteri che tu non potrai mai ottenere” rispose afferrandogli il polso. L’altro allentò la presa. “Ora però sto lavorando, quindi non posso permettermi di fare troppo baccano, ma presto verrò a prendermi tua figlia, infondo fa parte della famiglia, no?” continuò l’uomo visibilmente divertito.
“No!” tuonò Karl adirato, “lei non è come noi e non lo sarà mai! Io la proteggerò! La proteggerò con tutte le mie forze!” urlò. “Con tutte le tue forze?” ripeté l’altro divertito, “non farmi ridire!” scattò sfiorandogli il petto con un dito, “se io volessi, potrei ucciderti ora, in questo stesso istante, lo capisci Karl? Tu non sei alla mia altezza. Sei solo feccia!” concluse indietreggiando di qualche passo. Nonostante le parole dure, era evidente che non aveva la minima intenzione d’iniziare uno scontro e Karl non poté non sentirsi sollevato della cosa.  
“Le hai cancellato la memoria, vero?” chiese l’uomo in camice, sedendosi sulla scrivania.
Karl prese la ragazza tra le braccia: “non avevo scelta” mormorò.
L’altro rise. “Sei patetico Karl” sussurrò, “presto, molto presto verrò a prenderla e quando ciò avverrà tu morirai” concluse ridendo. “Ma non preoccuparti, cancellerò personalmente il tuo ricordo dalla sua mente in modo che non debba disperarsi per la morte di un essere così insulso. Hai forzato la sua mente ed ora lei sta male. Il suo corpo di ribella al tuo comando, devi morderla se ne vuoi acquisire ogni controllo, devi renderla tua schiava, ma non ne hai il coraggio, vero? Fa nulla, ci penserò io” concluse ridendo sornione. L’altro senza neanche voltarsi, aprì la finestra, l’aria gli scompigliò i capelli color argento, “piuttosto che darla a te” mormorò, “la ucciderò con le mie stesse mani” concluse lanciandosi nel vuoto per poi sparire in una nuvola di fumo nero.
“Karl…Karl.. ancora non ti sei arreso, eh?” mormorò il professore rimettendosi gli occhiali, “divertente, molto divertente” rise chiudendo la finestra e riaccomodandosi alla scrivania.



Pochi istanti ed i due erano già sulla soglia di casa, l’uomo stremato, posò delicatamente la ragazza sulla sdraio posizionata sotto il portico, le accarezzò il capo pensieroso, Craulad aveva iniziato a girarle intorno arrivando ad infiltrarsi persino nella sua scuola, Sara ormai non era più al sicuro in quella città, ma non gli era possibile allontanarsi, non come una persona normale. “Sara?” mormorò guardandola con dolcezza, non c’era persona al mondo che amava più di lei. “Io ti proteggerò piccola mia, non temere, starò sempre con te!” concluse baciandole la fronte poi cadde a terra perdendo conoscenza.


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