venerdì 22 maggio 2015

LITTLE SECRET - Cap. 8 (RACCONTO)

Dove eravamo rimasti:
Dopo essersi riappacificata col padre, Sara si sveglia in una città nuova, un luogo tranquillo, popolato da gente anziana dove non esiste lo smog, lo stress della vita quotidiana e dove si apprezzano ancora i gesti e la vita semplice di una volta. La tranquillità di quel posto fa dimenticare alla ragazza l'orrore del suo presente, ma quando scorge sul volto del padre un'espressione tesa, capisce che non è ancora il momento di rilassarsi. Karl lascia la figlia in città e corre all'inseguimento degli intrusi, mentre Sara fa amicizia con un cucciolo di cane... ed ora la storia continua.....





“Piccolo, aspettami!” chiamò inutilmente Sara rincorrendo il cagnolino tra i vicoli stretti del paese. Man mano che andava avanti, sentiva di conoscere quelle strade e quei luoghi, si fermò per prendere fiato, i muri, i tetti delle case, persino i pali della luce avevano un che di famigliare. “Io sono già stata qui” mormorò ansimante, quando il cucciolo richiamò la sua attenzione abbaiando.
“Mi stai prendendo in giro, eh?” rise vedendo il cane che si era fermato a pochi metri da lei per aspettarla. Il piccolo scodinzolò allegro ed abbaio nuovamente in risposta. Lei sorrise, “e va bene, giochiamo un po’” concluse rimettendosi a correre.
Attraverso viali anonimi, illuminati dalle luci del tramonto, Sara continuava il suo inseguimento convinta che prima o poi il cucciolo si sarebbe stancato e che sarebbe riuscita a prenderlo. Ignorava ciò che stesse facendo suo padre, ma non poteva aiutarlo in alcun modo e quello strano gioco le permetteva di tenere la mente occupata così da non farsi sopraffare dall’ansia. La corsa si arrestò davanti ad un vicolo cieco, da qualsiasi parte guardasse c’erano solo muri fatti in mattone e legno. “Ma dove si è cacciato?” mormorò prendendo fiato. Sentì il cagnolino abbaiare da oltre il muro. “Non avrà mica saltato! E’ impossibile! È troppo alto per un cane così piccolo” strabuzzò gli occhi perplessa. Si sentì mordicchiare lo stivale, abbassò lo sguardo e vide il cucciolo scodinzolante. “Ecco dov’eri, birba!” rise provando a prenderlo ma, veloce come una saetta, il piccolo balzò indietro evitando le mani della ragazza ed infilandosi in buco nel muro non visibile dal punto in cui si era fermata Sara. Sorrise portandosi le mani ai fianchi: “ora devo anche fare violazione di domicilio, eh? Bene, papà sarà fiero di me quando tornerà” brontolò con tono poco convinto. Si mise a carponi ed a fatica attraversò il muro dalla piccola breccia che le era stata indicata. Oltre la parete si estendeva un piccolo giardino pieno di erbacce e dall’aspetto abbandonato, vi erano un tavolo in legno con delle sedie deteriorate dal tempo, un’altalena rotta ed alle spalle di essa i resti di una casa devastata da un incendio.
“Benvenuta Sara!”. La giovane si voltò spaventata, ma Craulad era già a pochi millimetri dal suo viso, così vicino da sentire l’odore di morte uscire dalla bocca dell’uomo. Rabbrividì cercando di fare un passo indietro per allontanarsi, ma agli occhi di un vampiro, la velocità di un semplice essere umano era l’equivalente di una moviola molto lenta. Le cinse la vita col braccio sinistro, mentre con l’indice della mano destra la zittì posandoglielo sulle labbra.
“Lo sai dove siamo?” le sussurrò sfiorandole l’orecchio con le labbra. Sara fece no col capo ed il suo corpo prese a tremare senza che lei potesse far nulla per calmarlo.
“Povera, piccola bambina” sorrise giocando col dito sulle labbra della giovane, “hai paura di me, vero? Eppure durante tutto quest’anno scolastico mi hai sempre incrociato per i corridoi senza farti il minimo problema. Voi umani siete proprio divertenti” rise, scendendo col dito fino alla gola. Le sentì deglutire a vuoto, segno che era molto spaventata e la cosa gli provocò piacere.
“Non toccarmi” mormorò Sara a denti stretti e cercando di divincolarsi, ma Craulad la strinse ancor più forte a se. “Non fare così, non vorrai mica che perda il controllo e ti rompa qualche arto, vero?” sorrise lui divertito. La ragazza si fermò, ripensò alle parole del padre a proposito della fragilità del corpo umano nei confronti delle creature della razza vampira e decise di non opporre altra resistenza.
“Brava piccola!” sorrise Craulad allentando la presa tanto da permettere a Sara di respirare normalmente.
“Mio padre, dov’è mio padre? Cosa gli hai fatto?” chiese con voce tremante. L’uomo annusò l’aria socchiudendo gli occhi: “Parte del suo sangue è stato versato ad ovest verso quelle montagne laggiù” sorrise indicando la stessa direzione dove Sara vide sparire suo padre, ma prima che potesse aprire bocca, l’uomo riprese a parlare: “ma non temere, è ancora vivo” fece una pausa per spostarle una ciocca di capelli dietro l’orecchio, “cosa che purtroppo non posso dire delle mi ombre” concluse. La giovane si fece sfuggire un sorriso di compiacimento nel sentire che il padre avevo sconfitto i sicari del suo aguzzino, presto sarebbe corso a salvarla, ne era sicura. Doveva solo resistere.
Il vampiro s’incamminò trascinando la sua preda verso l’interno del palazzo semidistrutto dalle fiamme, quasi tutti gli arredi erano arsi o distrutti dal tempo, il tetto era quasi del tutto crollato ed in alcuni punti gli alberi, che erano cresciuti all’interno della struttura, avevano sfondato tegole e finestre per dar spazio ai folti rami.
“Perché mi hai portata qui?” chiese Sara lasciandosi trasportare, con la coda dell’occhio, vide il cucciolo che continuava a seguirli diligentemente senza fare il minimo rumore.
“Voglio che tu veda con i tuoi occhi e giudichi”.
“Vedere cosa? Un mucchio di macerie? Qualche albero spettrale?” si dimenò inutilmente, “qui non c’è nulla che io possa vedere!” continuò digrignando i denti.
“Lo stesso carattere forte di tua madre” sussurrò Craulad  sfiorandole il collo con un bacio.
Sara rabbrividì:“Tu conoscevi mia madre?”.
“Esatto” sorrise e per la prima volta, Sara notò nello sguardo del vampiro un piccolo barlume di dolcezza. Non capiva bene che stava succedendo. Suo padre non le aveva mai detto che anche Craulad conosceva sua madre anzi, al contrario, era lui che aveva conosciuto la compagna del mostro che ora la teneva immobilizzata ed allora cosa stava succedendo? Sentiva che qualcosa non tornava, c’era qualcosa che le sfuggiva, ma al contempo temeva la verità. Sentiva in cuor suo, che era meglio per lei non sapere, ma le sue labbra si mossero prima della ragione: “come facevi a conoscerla?” chiese con un filo di voce.
“Ho solleticato la tua curiosità, eh?” chiese compiaciuto, lei non gli rispose. “Ma prima, devo sistemare una cosa” disse guardando alle loro spalle. Schioccò le dita ed il cucciolo ai loro piedi ululò per un breve istante, poi lievitò a mezz’aria fino a dissolversi in una nube nera nella mano di Craulad.
“Che siano fatte così le ombre?” pensò Sara guardando la scena. Che sciocca cascare così stupidamente in un tranello tanto banale, si vergognava di se stessa. Udì un rumore e da dietro una parete semi distrutta apparve una figura nascosta per metà dalle tenebre della stanza: “mio signore” si annunciò la strana creatura ricurva, piena di ferite e sporca di sangue, “siamo riusciti a fermare l’individuo da lei designato come da vostro ordine, ma gli altri sono tutti morti nell’impresa. Io sono l’unico sopravvissuto, mio signore” continuò l’uomo tremante, pareva aver paura del suo padrone. Continuava a tenere lo sguardo basso, non vi era un briciolo di valore nei suoi modi di fare.
  Sara rimase in silenzio, vide Craulad sorridere e la cosa la rese ancora più irrequieta
“E così, ti sei presentato a me senza la sua testa e con la coda tra le gambe?” tuonò Craulad con occhi di ghiaccio. “Pensi di potermi ingannare con simili fandonie?” chiese con voce pacata. L’altro non rispose, ma abassò ancora di più il capo.
Il vampiro scosse il capo,  strinse a pugno la mano dove teneva la nuvola nera che si allungò ai lati assumendo la forma di una lancia corta, ne leccò la lama fino a lacerarsi la lingua e lasciò che il sangue intinse l’arma.
“Le chiedo perdono mio signore” balbettò il sottoposto facendo alcuni passi indietro.
“Pensi che non mi sarei accorto di te?” urlò Craulad e l’eco della sua voce riempì l’aria circostante.
“Mio signore?”. Il petto dell’ombra si squarciò, la creatura urlò di dolore e si accasciò al suolo.
“Lasciala andare” mormorò Karl leccandosi le dita sporche di sangue. Aveva il viso pieno di graffi ed il corpo ricoperto di ferite, ma non sembrava sofferente, probabilmente erano meno profonde di quel che sembrava.
“Papà!” scattò Sara con un sorriso, ma Craulad la strinse a se.
“Craulad!” urlò Karl colmo di rabbia. “Basta, facciamola finita una volta per tutte! Lasciala andare, è me che vuoi non è così? Allora lasciala e combatti!”.
“Finalmente” ghignò l’altro spintonando la ragazza che cadde per terra, “era ora che ti decidessi, ho aspettato allungo di vedere quello sguardo, si ora sei pronto” concluse scagliandosi contro il suo avversario. Karl evitò l’affondo con la lancia gettandosi alla destra dell’uomo, il suo obbiettivo primario era raggiungere Sara che dalla paura era rimasta seduta per terra, ma Craulad non gli dava tregua continuando ad attaccarlo con più fendenti nel disperato tentativo di colpirlo. Non riusciva a spiegarsi il perché, ma agli occhi di Karl, Craulad sembrava molto più lento del solito e si chiese se non fosse merito del sangue di Sara che gli aveva donato dell’energie senza pari. Sapeva benissimo che se non fosse stato per il sangue della figlia, non sarebbe riuscito a sconfiggere quelle ombre tanto facilmente e poi era strano che il suo avversario si servisse di un’altra. Qualcosa non era chiaro ma, ora che si sentiva più forte non poteva sprecare assolutamente l’occasione.
Con un balzo atterrò a pochi passi dalla figlia, piroettò su se stesso per evitare l’ennesimo affondo, poi colpì Craulad alle spalle con un’artigliata che gli fece volar via parte del giubbotto in pelle. Un barlume d’ira incendiò lo sguardo del vampiro che colpì con un pugno il terreno alzando un enorme polverone che investì padre e figlia.
“Papà!!” chiamò spaventata e coprendosi gli occhi per evitare frammenti di terriccio e polvere.
“Sara!!” rispose cercando di afferrarle la mano. Qualcosa di luccicante attraversò il muro di nebbia con un sibilo, Karl notò che si trattava della lancia che impugnava Craulad ed era diretta verso Sara. Il padre della ragazza si scagliò verso la giovane, la spinse di lato, ma non aveva il tempo di spostarsi a sua volta, così decise di fermare la lancia con le mani, ma la potenza del tiro era troppo forte. La lancia trafisse Karl allo stomaco facendolo balzare contro la parete alle sue spalle e conficcandosi in essa. Conati di vomito misto a sangue uscirono dalla sua bocca impregnandogli i vestiti ed il pavimento ai suoi piedi.
“No!” urlò Sara disperata, “aspetta, ora ti aiuto” disse afferrando la lancia con entrambe le mani, ma non si spostava di un millimetro. “Perché?” mormorò in lacrime, “papà!” chiamò dando fondo a tutte le sue forze. Il padre le posò una mano sulle sue, “non puoi farcela” mormorò a stento. Lei fece no col capo e continuò a strattonarla con disperazione.
“Sara” mormorò Karl prima di vomitare altro sangue, lei lo guardava atterrita. Era li davanti a lui eppure non poteva far nulla per salvarlo, non poteva crederci, fino a poche ore prima camminavano serenamente per i viali del paese ed ora l’inferno le aveva di nuovo aperto le porte davanti al naso, ma stavolta sembrava diverso, stavolta sentiva che era la fine.
“Mordi!” urlò disperata, “cosa aspetti, mordi papà!” continuò posandogli il polso sulle labbra serrate.
“Non posso” sussurrò ansimante, “non voglio farlo”.
“Patetico come sempre!” s’intromise Craulad scostando la ragazza di forza ed appoggiandosi sulla lancia che fuoriusciva dal corpo del suo avversario. Karl digrignò dolorante.
“Ti fa male vero?” sorrise, “sai ho impregnato la punta della lancia col mio sangue, ma penso che tu lo sappia già visto che il dolore che senti non è dovuto alla ferita, ma al mio sangue velenoso, vero?” sorrise spingendo più in profondità la lancia all’interno del corpo dell’altro che urlò dal dolore vomitando altro sangue.
“Smettila ti prego!” implorò Sara scagliandosi sul suo ex professore. Craulad afferrò entrambe le mani della giovane con la sua, l’altra l’usò per afferrarla al collo posizionandosi alle sue spalle. “Non dovresti provare così tanta pietà per lui” le sussurrò nell’orecchio.
“Craulad” ansimò Karl.
“Lasciami!” si dimenò.
“Quello che hai davanti ai tuoi occhi è un assassino!” riprese a sussurrarle.
“Se qui c’è un assassino, quello sei tu!” scattò Sara piena di rabbia.
“Ti sbagli. Lui che tanto adori, colui che tanto ami…ti ha portato via il bene più prezioso”.
“No, Craulad!” urlò Karl cercando d’estrarre la lancia.
“Che stai dicendo?” mormorò Sara finalmente calma.
“Lui ha ucciso tua madre!”.
“Non è vero!” ansimò la ragazza con gli occhi colmi di lacrime.
“Si invece” sorrise affabile, “proprio qui, tra queste mura”.
“Sara, non devi ascoltarlo” mormorò Karl in una smorfia di dolore.
“Taci!” urlò l’altro calciando la lancia ancor più in profondità nel ventre dell’uomo che gemette in preda alle convulsioni. “Non c’è bisogno che mi ascolti” sorrise Craulad posando la mano sugli occhi bagnati della giovane, “glielo farò direttamente vedere” concluse. Sara sentì come un forte giramento di testa, aveva la nausea. Percepita la fredda mano del vampiro sul viso, ma non riusciva a muoversi in alcun modo, era completamente sopraffatta, così si lasciò trasportare nell’incubo che quel mostro aveva preparato per lei, nel passato di tanti, tanti anni fa.
Aprì lentamente gli occhi, c’era tanta nebbia intorno a se ed una luce soffusa in lontananza che sembrava chiamarla a se. Iniziò lentamente a percorrere lo stretto corridoio, i suoi erano ovattati così come l’ambiente intorno a lei, eppure c’era qualcosa di famigliare. La luce che l’aveva guidata fin li, era quella di una stanza la cui porta era socchiusa, l’aprì con circospezione e si affacciò all’interno col capo.
“E’ arrivato il momento di lasciarci mio adorato”. La donna che stava pronunciando quelle parole era di una bellezza impareggiabile, il viso bianco come il marmo, i lunghi e folti capelli corvini e due pezzi di cielo di primavera al posto degli occhi. Sara rimase in silenzio, aveva persino paura di respirare dal timore di essere vista, ma da come si stavano comportando le due persone all’interno della stanza, con molto probabilità non potevano vederla.
E’ giunto il momento che io mi ricongiunga al mio amato sposo, ma prima, farò di te il mio schiavo” sorrise ambiguamente afferrando l’uomo ai suoi piedi per i capelli ed alzandolo da terra. L’uomo era privo di sensi, il volto coperto di sangue, probabilmente aveva incassato un brutto colpo. Leccò scrupolosamente il sangue che era colato sul collo dell’uomo che gemette senza riprendere conoscenza, poi spalancò la bocca scoprendo dei lunghi canini bianchi che affondarono con violenta precisione nelle carni dell’uomo che spalancò gli occhi lanciando urla lancinanti.
Sara guardò la scena con le mani sulla bocca, sembrava la scena di un film dell’orrore. Quella donna dalla figura così famigliare, la turbava molto. Avrebbe voluto scappare, distogliere lo sguardo, ma non poteva. Aveva sperato tanto di conoscere la verità ed ora finalmente il sipario sul passato di Craulad si era alzato e con esso anche il legame tra lui e suo padre presto sarebbe stato svelato.
Le urla dell’uomo riempirono l’aria, non faceva che dimenarsi, allungare le braccia verso il cielo coi palmi rivolti verso l’alto ma,  un istante dopo, ritraeva le braccia graffiando il pavimento e la schiena della donna. Una lunga colata di sangue partì dalla base del collo fino a metà schiena, la donna strappò via la camicia dell’uomo ed iniziò a mordicchiarlo come se si trattasse di un gioco erotico: la spalla, l’interno delle braccia, i polsi, il ventre scolpito, le dita. Mordeva e leccava con ritmo frenetico, quasi provasse piacere, mentre l’uomo fremeva di piacere misto ad un dolore ineguagliabile. Le urla del mal capitato si alternavano a mugugni di piacere. Non si capiva quando finiva il dolore ed iniziava la passione, ma quella scena rimase impressa negli occhi di Sara che non riusciva a distogliere lo sguardo. Stanca di giocare, lasciò cadere il corpo dell’uomo in una pozza di sangue.
“Ora dormi” le sussurrò mordendogli il lobo dell’orecchio “e, quando ti sveglierai, io sarò la tua unica padrona” concluse sfiorandogli le labbra con un bacio.
“Perché?” chiese a stento l’uomo con un filo di voce. “Perché…?” ansimò con sguardo vacuo.
La donna si rimise in piedi, lo guardava dall’altro verso il basso: “perché voglio che sia tu il mio primo schiavo. Quando il mio signore verrà a prendermi, tu mi farai da guardia del corpo e, come segno di rispetto ed amore, gli doneremo l’anima della bambina nella stanza accanto” sorrise.
“No, non andare….” ansimò socchiudendo gli occhi, “… Rhith” concluse esalando l’ultimo respiro.
“Rhith?” mormorò Sara. Con passo infermo s’avvicinò alla vampira che era stata protagonista della scena, non aveva dubbi, conosceva quel volto, l’aveva visto in innumerevoli foto. Colei che aveva dinnanzi agli occhi era sua madre, mentre l’uomo che giaceva  morto ai suoi piedi, era colui che lei amava più di ogni altra cosa al mondo, suo padre: Karl Saiklis.
Con mano tremante, provò ad accarezzare il viso pallido e impregnato di sangue del padre, ma la mano lo attraversò senza riuscire a toccarlo. “Papà” mormorò scossa. Sapeva di trovarsi nel passato, ma scoprire in che modo cruento avesse lasciato quel mondo, la fece vergognare profondamente di quando con tanta leggerezza gli avesse proposto di trasformarla.
“Perdonami” sussurrò a capo chino.
Il corpo privo  di vita del padre fu percosso da fremiti improvvisi. Prima leggeri tremori, poi vere e proprie convulsioni dove ad ogni scarica che si ripercuoteva sugli arti, gli schizzi del sangue ancora fresco volavano ovunque sulle pareti e gli arredi intorno.
“Che succede?” si chiese Sara spaventata da quei improvvisi tremori.
Karl spalancò gli occhi mettendosi in piedi di scatto facendo balzare Sara dallo spavento. Il suo sguardo non era più quello del padre che conosceva ma neanche quello dell’uomo che l’aveva cresciuta, quello era lo sguardo di un morto, di chi porta il nulla dentro di se, di chi non ha più un cuore e le ricordava in modo impressionante quello di Craulad: freddo e calcolatore. In quel momento, capì cosa aveva voluto dire suo padre, quando diceva che lui ormai era morto. Agli occhi di Sara la creatura dinnanzi a lei era ormai un completo estraneo.
“Sa…ra…” mormorò l’uomo in un rantolo appena comprensibile. Lei tese la mano: “sono qui” sussurrò inutilmente. Sapeva che non poteva sentirla, ma il suo era stato un riflesso incondizionato.
Il padre annusò l’aria, gli occhi rossi come il sangue scrutavano la stanza come alla ricerca di qualcosa. Ansimava analizzando ogni parte del suo corpo con aria assente, dava l’impressione di non riuscire a riconoscersi, osservò a lungo le mani piene di sangue, il petto… ogni centimetro del suo corpo gli regalava macabri indizi su come era calato il sipario sulla sua esistenza terrena. “Rhith?” mormorò voltandosi verso la porta dalla quale era uscita la moglie. Sorrise beffardo e con un paio di balzi era già oltre la soglia.
Sara gli corse dietro scossa. Karl le aveva detto che era stata Thyra a trasformarlo in vampiro, ma ciò che aveva visto coi suoi stessi occhi, le diceva il contrario. Che stava succedendo? Uno dei due stava mentendo, ma perché? Che motivo aveva Craulad per mentirle su una cosa del genere? Forse voleva metterli l’uno contro l’altra? Anche se fosse, lei era una semplice umana, cos’avrebbe mai potuto fare contro un vampiro? E poi non poteva essere. Era sicura che suo padre non le avesse mentito, credeva in lui. Di sicuro era tutta una messa in scena creata con delle illusioni da quell’essere dal cuore di ghiaccio.
“Rhith!” chiamò Karl sulla soglia della stanza della piccola Sara che, nonostante il trambusto e le urla non si era minimamente svegliata. La donna si voltò con la bambina tra le braccia.
“Non è meravigliosa? Sarà un dono perfetto” sorrise eccitata.
“No” ansimò. Lottava con tutte le sue forze contro la belva che sentiva crescere dentro se e che spingeva per venire alla luce. “Lei è la nostra bambina” continuò. La donna piegò il viso di lato in modo quasi meccanico, “come mai sei così umano?” chiese con espressione disgustata. “Il mio signora riderà di me, quando saprà che non sono stata in grado neanche di costruirmi uno schiavo” sospirò posando la bimba sul letto, “ma posso sempre porvi rimedio” sorrise, “posso sempre ucciderti!” scattò addosso all’uomo che non riuscì ad evitarla ed insieme rovinarono sul pavimento in legno, frantumandolo.
“Rhith!”.
“Non chiamarmi così!” scattò mostrando i denti. “L’umana che conoscevi come Rhith non esiste più!”.
“No, non è vero” mormorò accarezzandole il viso, ma lei allontanò la mano schiaffeggiandola.
“Non toccarmi! Sei un essere inferiore, uno schiavo! Non sei degno di sfiorarmi, sei solo feccia!” sbraitò fuori controllo.
“Torna in te” sussurrò, “ti prego”.
“Adesso basta! Non so come tu sia riuscito a non trasformarti completamente, ma ora ci penso io a finirti! Ti avevo dato l’opportunità di vivere in eterno come mio schiavo, ma ormai è troppo tardi, ti strapperò quell’inutile cuore e lo donerò al mio sovrano!” minacciò restando seduta a cavalcioni su di lui, alzò la mano pronta per colpire, ma Karl l’afferrò per i polsi e la tirò a se abbracciandola.
Sara rimase sulla soglia a guardare. I suoi occhi si spostavano da suo padre a sua madre a se stessa, tranquillamente addormentata ed ignara di tutto. Ma come poteva dormire in un momento del genere? Poi si ricordò la strana sensazione che aveva provato nel container quando suo padre aveva usato l’ipnosi su di lei per addormentarla ed allora capì, con molto probabilità sua madre si era assicurata che non si svegliasse.
“Lasciami!!” urlò fuori di se la donna. Brandelli di carne e schizzi di sangue imbrattarono le pareti  provocando in Sara una forte nausea. Non aveva più il coraggio di assistere a tutta quella violenza. Distolse lo sguardo con occhi gonfi di lacrime mai, come in quel momento desiderava che quell’incubo svanisse in fretta. Se solo avesse avuto qualche potere, se solo avesse potuto fare qualcosa per fermare quel massacro, ma non poteva. “Perché mi stai facendo vedere tutto questo?” sussurrò in lacrime, “perché?”.
Un forte bagliore accecò Sara che fu costretta a coprirsi gli occhi, quando gli riaprì la stanza era sparita, la casa ridotta ad un cumulo di macerie fumanti e tra esse riuscì a scorgere Craulad in ginocchio con una sagoma tra le braccia. Il viso contratto dal dolore, il capo curvo fino a toccare la fronte della persona che reggeva con tanta cura. “Sono arrivato troppo tardi” mormorò. “Ma ti vendicherò, troverò chi ti ha fatto questo e lo ucciderò come un cane! Non avrò pietà di lui, no! Ma solo dopo che avrà sofferto le pene dell’inferno, si…” sorrise, “maledirà la sua immortalità, essa sarà la sua pena e la sua condanna!” concluse baciando la fronte della sagoma, Sara si avvicinò per poterla vedere meglio. Aveva un vestito di raso bianco completamente imbrattato di sangue, un enorme squarcio nel petto all’altezza del cuore, i capelli corvini erano spettinati ed umidi sulla fronte e sul viso bianco come il marmo.
“Mamma?” sussurrò Sara incredula.
“Ti vendicherò Thyra, fosse l’ultima cosa che faccio!” promise Craulad a denti stretti. Un secondo bagliore e Sara si ritrovò nel presente, un presente dove ormai non era più sicura di nulla.

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